Voce ai ribelli – Intervista ad Antonello Cresti


Abbiamo raggiunto Antonello Cresti, critico musicale, saggista, conferenziere ed “agitatore culturale” per un’intervista. A pochi gironi dall’uscita della compilation/assembramento sonoro “O Sarai ribelle o non sarai!” da lui curata (in uscita il 25 aprile per Hellbones Records), abbiamo colto l’occasione per discutere di censura “liberal”, pensiero unico e distopia della nuova normalità. Tra gli ultimi testi realizzati da Cresti segnaliamo “La scomparsa della musica. Musicologia con il martello” edito da Nova Europa e “La musica e i suoi nemici” pubblicato da Uno Editori.

Grazie per aver accettato questa intervista Antonello. Ti seguo e stimo per essere uno dei pochissimi critici musicali che abbia preso una posizione coraggiosa e ribelle sulla questione del politicamente corretto. Da vero agitare culturale quale tu sei, vuoi raccontarci la tua visione delle cose su questa specie di approccio fondamentalista culturicida, una sorta di pensiero unico “liberal” dai tratti orwelliani? A me pare un pensiero molto pericoloso che sembra avere nella “cancel culture”, nella censura e nell’isolamento sociale il suo braccio armato al servizio di subdole élite plutocratiche…

Di fronte a questo genere di domande potremmo scomodare teorie di vario genere, ma per una volta penso sia opportuno affidarsi all’autobiografia: sin da giovanissimo, seguendo la mia indole curiosa e ribelle, ho sempre provato una fascinazione, un interesse, verso qualsiasi idea, azione, espressione creativa che trascendesse i limiti della “normalità” per situarsi in quell’area che potremmo definire “eccentrica”, “bizzarra” sino ad arrivare al “proibito”.
Non cercavo una rispondenza personale, ma semplicemente la possibilità di esprimere tutto… persino le persone che ho frequentato spesso erano “impresentabili” di ogni latitudine, diversi da me, ma che avevano una storia da raccontarmi.
In tutta sincerità guardandomi indietro penso che quest’amore – e non terrore – per la differenza, mi abbia giovato. E per la musica, evidentemente, è stato lo stesso. Ho sempre ricercato in quegli ambiti più inusuali, inaspettati. Ed ho pensato che ci fosse piena coerenza tra le cose. Infatti, devo dire, ho incontrato tanti che avevano seguito un itinerario non dissimile dal mio. È dunque con un misto di stupore, sdegno e compatimento che rilevo oggi sia da parte dei musicisti che degli ascoltatori di settori musicali “estremi” l’ossessione di aderire a quella narrazione ufficiale ed egemonica che un tempo semplicemente non ci toccava. Un fenomeno dai tratti epocali che credo produrrà disastri ad ogni livello…

Mi ha colpito molto il fatto che così poche persone abbiano riflettuto seriamente su certi meccanismi perversi legate alla censura operata da grandi aziende come Facebook, Twitter, Amazon, Netflix, Disney, Discogs, ecc. Ad esempio, s’inizia con il rimuovere un artista black metal come il norvegese Burzum (di cui si può benissimo non condividere le idee) ma si potrebbe finire anche con il censurare David Bowie. Ti ricordi il caso dell’incidente di Victoria Station nel 1976? All’epoca la stampa accusò Bowie di simpatie naziste e di aver fatto addirittura il saluto romano. Fu rievocato anche un altro incidente con la polizia polacca avvenuto mesi prima. In quel caso, durante una perquisizione gli avevano trovato nei bagagli dei libri di estrema destra, illegali e fuorilegge non solo in Russia ma anche in Germania.
Mi chiedo cosa farebbero i suoi fan se David Bowie subisse oggi lo stesso trattamento di Burzum? Se a tutti quelli che hanno pubblicato su Facebook una canzone di Bowie venisse sospeso l’account? Dove tracci il limite una volta che hai aperto il vaso di Pandora della foga ideologica censoria?  Tu che ne pensi?

Vedere degli “artisti” supportare la censura è un abominio. Non importa se rivolta verso personaggi effettivamente sgradevoli. Inoltre si dimentica, per citare Pietro Nenni, che “c’è sempre qualcuno più puro che ti epura”, dunque la censura che si è invocato potrebbe presto ritorcersi contro noi stessi. Un contrappasso comprensibile… Personalmente ritengo che il linguaggio artistico non debba e non possa mettersi limiti di sorta, e ricordo sommessamente che le censure provocano quello che definisco “magnetismo di minoranza”, dunque molto più inoffensivo il pensiero di un Burzum sdoganato, dello stesso pensiero affidato a canali paralleli oscuri ed illegali.  La catarsi artistica infatti agisce per omeopatia, ma anche per opposto. Chi sosteneva che ascoltando un album di Marilyn Manson si divenisse dei serial killer diceva evidentemente una somma sciocchezza…
Tu citi Bowie… Beh, col terrore del politically correct che esiste oggi credo che in moltissimi lo abbandonerebbero per certe provocazioni.
Considera che viviamo il tempo in cui un’artista di copertina Lana del Rey è accusata di suprematismo bianco, perché si permette di riferirsi all’american dream…

Hai giustamente fatto notare più volte come ci sia stato un progressivo smottamento di quasi tutta la critica musicale su posizioni mainstream. Oggi su riviste musicali generaliste, anche online, difficilmente troverai in bella vista artisti maschi bianchi eterosessuali (evidentemente per qualcuno responsabili di tutti i mali del pianeta), a parti i classici mostri sacri del passato che ormai sono lì, comodi sui loro piedistalli, ma in attesa che qualcuno gli faccia fare la fine delle statue di Colombo o dei generali sudisti americani. La “logica del piagnisteo”, per citare un critico d’arte come Robert Hughes è divenuta completamente mainstream nel mondo Occidentale e movimenti come “Me Too” e “Black Live Matter” sono di fatto dominanti ed egemoni su tute le piattaforme digitali e su tutti i grandi colossi editoriali. Possibile che alle donne, agli omosessuali e agli afroamericani non venga in mente di essere strumentalizzati per fini altri (non ultimo un rientro economico in tasca di ricchi proprietari di multinazionali). Dobbiamo arrenderci davanti ad aziende che stanno diventando sempre più degli immensi colossi neufeudali? 

Viviamo un problema enorme, che è la mancanza di consapevolezza in ogni contesto e da parte di ogni categoria. La “contestazione” oggi è cucinata direttamente dal Sistema ed affidata a schiavi più o meno inconsci che si battono per essa, instaurando un conformismo assoluto dipinto però da “trasgressione” e “ribellione”.
Le problematiche sessuali e razziali cui tu alludi, sono state trattate con coraggio e preveggenza da tanti artisti decenni fa… In realtà, da conoscitore di Mozart, devo dire che già un compositore come lui, nel diciottesimo secolo, si era spinto meritoriamente ad accendere una luce su certe tematiche.
Oggi, in un contesto simile, le stesse tematiche, portate al paradosso e trattate in un certo modo, finiscono per depotenziare sia la libertà del dibattito sia quelle stesse posizioni. Affidare simili riflessioni al Carnevale di Achille Lauro non credo sia così producente, alla lunga…
Lo sanno bene proprio quelle donne, quegli omosessuali, quegli afroamericani, assieme ad altre categorie, che meritoriamente continuano a condurre una battaglia di consapevolezza. Anche contro coloro che si professano pelosamente “amici” di determinate istanze…

Altro argomento che so che ti sta a cuore è quello delle restrizioni dovute alle narrazione pandemica. Che impatto ha tutto questo sulla vita culturale italiana e su quel poco che resta della controcultura in generale?

Un impatto disastroso, ma anche apocalittico, nel senso della finale rivelazione. Sono, per così dire, cadute tante maschere. Si è capito che essere un artista oggi non differisce in alcun modo dall’essere un testimonial. Si è capito che il pensiero critico di cui l’Arte si fa promotrice è in realtà lo stanco spappagallare della narrazione del Potere. E non è un caso che, mai come oggi, per citare Battiato, “La musica è stanca”…
Resta poi la questione dello streaming, accolta con giubilo insennato da legioni di musicisti “underground”, che produrrà un punto di non ritorno per l’intero mondo musicale, con la polverizzazione sempre più programmatica di quegli aspetti sociali e comunitari che sono connaturati alle ragioni profonde dell’evento artistico. Anche qui si è creduto che l’immediata convenienza possa pagare. Mi permetto di manifestare i miei dubbi…

In diverse occasioni hai indicato il black metal come un genere che sembra resistere a certi condizionamenti del pensiero unico globalista. Nonostante anche lì ci siano forze economiche che tentano di imporre la propria agenda volta a depotenziare e “svirilizzare” il genere, è rimasto in alcune sue frange meno mainstream un pensiero critico che non s’inginocchia e non si sottomette all’attuale stato di cose. Penso soprattutto a correnti estreme come il War Metal di gruppi come Revenge, Diocletian, Conqueror, ecc o quel black metal che recupera le sue radici autoctone pagane ed indoeuropee (Comando Praetorio, Hate Forest, Tetragrammacide, Graveland, lo stesso Burzum, ecc).
Del resto, il Lucifero della religione islamica, Iblīs, è proprio colui che non si sottomette e non si prostra a davanti a Dio e ad Adamo. Credi che il black metal possa essere un farmaco efficace contro la degenerazione e l’autoannientamento dell’Occidente?

Ho dedicato un intero capitolo del mio libro al fenomeno del black metal. Innanzitutto per affermare un principio che credo stia emergendo chiaramente anche da questa intervista, ossia che l’espressione creativa deve spingersi anche a “frequentare l’infrequentabile”. Cosa c’è di più dannabile, controverso, sporco e cattivo del black metal? Bene, a mio avviso abbiamo bisogno anche di questo.
Inoltre è certamente vero che nelle sue forme più progredite quella musica rappresenta anche un baluardo di identità, relativamente alla appartenenza europea e a certa paganitas. Potremmo altrove fare medesime considerazioni per musiche profondamente diverse… Infatti amo moltissimo ascoltare artisti dalle cosiddette “periferie del mondo” proprio per questa ragione… Ancora, quando ho iniziato ad ascoltare black metal ero un teenager e mi ci sono avvicinato in quanto “genere proibito”. Però non è che questo mi abbia spinto ad incendiare chiese o uccidere persone, anzi probabilmente mi ha aiutato a affinare un pensiero critico su molte questioni, anche per opposizione. Ed ho continuato a studiare il Canto Gregoriano ed ad interessarmi a personaggi come il musicista e monaco benedettino Juri Camisasca, col quale ho recentemente pubblicato un libro… Sarebbe l’ora di smetterla di incolpare il “nemico esterno” per certe nostre debolezze e incapacità…

Sono molto curioso riguardo alla nuova compilation che stai curando, “…O sarai ribelle o non sarai!”. Vuoi raccontarci qualcosa a riguardo?

Già in altre occasioni mi è capitato di pensare “se non la faccio io questa cosa, non la farà nessuno…”. Accadde ad esempio col grande concerto tributo a Claudio Rocchi a cinque dalla sua scomparsa. Nessuno pur con mezzi ben superiori ai miei si era mossa e, ahimè, nessuno si muoverà. Ebbene, nella totale acquiescenza di queste settimane ho pensato che sarebbe stata cosa buona e giusta provare ad organizzare tutte quelle voci critiche presenti nel mondo della musica italiana per gridare il nostro diniego nei confronti della dittatura del politically correct e della distopia della nuova normalità. Abbiamo raccolto più di cento brani inediti, davvero di tutti i generi, pur senza promuovere la iniziativa. Volevamo persone che fossero motivate e pronte a sostenere le diffamazioni che – puntuali – sono già arrivate. Di queste si occuperanno i miei legali. La compilation o meglio “assembramento sonoro”, come l’ho chiamato, uscirà il 25 Aprile. Perché serve una “Liberazione”.

Quali strategie di lotta adottare per il futuro? Secondo te dovremmo rimanere su certi medi mainstream e non abbandonare il campo? Al tempo stesso dovremmo anche crearci dei canali alternativi per cercare di dribblare la censura delle grandi corporation globaliste?

In vita mia mi sono sempre fatto cacciare dai luoghi dove ero sgradito, di certo non ho tolto io il disturbo spontaneamente. Continuerò a fare così, anche se parallelamente è evidente che occorrerà creare dei canali paralleli di controcultura, come si sarebbe detto in epoche più felici di queste. Credo sia una sensibilità destinata ad aumentare sempre più col tempo…

Ti ringrazio molto per la cortesia e la disponibilità.