Intervista ai Comando Praetorio

Dopo aver ascoltato il fulminante esordio dei Comando Praetorio, “Ignee Sacertà Ctonie”, abbiamo raggiunto uno dei loro membri, Andrea Anselmo, per un’intervista di ampio respiro. Oltre l’ambito del black metal, scena in cui Anselmo può vantare una militanza di lunga data, la nostra conversazione ha toccato svariati temi legati alle radici arcaiche dell’Europa e ai suoi culti precristiani, fonti per un immaginario terrifico e ferale, capace di influenzare ancora oggi molti artisti della scena nera.

Come sono nati i Comando Praetorio e da dove deriva il nome della band?

Comando Praetorio nasce come progetto nel 2012 grazie all’unione delle forze – provenienti dall’underground piemontese e lombardo – militanti in Eroded, Vacuum, Bastard Saints, Maldoror, Funeral Fog e Disma. Il moniker deriva dalla volontà di esprimere una forte visione di disciplina spirituale, una via secca, diretta e regia al sacro, un percorso di lotta costante contro la debolezza e altre limitazioni soltanto umane.

Ti andrebbe di raccontarci dei “Lupi di Sorano”? Era un culto dedicato a una sorta di Apollo infero, uranico e tellurico al contempo, un credo arcaico alla base del vostro album d’esordio “Ignee Sacertà Ctonie”, se non sbaglio…

Il culto di Suri, il nero, era diffuso tra le popolazioni falische ed etrusche dell’area dell’attuale monte Soratte. Suri, conosciuto soltanto tramite il suo attributo di “scuro” appunto, fu successivamente identificato – quando la cultura delle popolazioni italiche entrò nell’orbita dominante del mondo latino – come una delle forme possibili di Apollo. Tale identificazione non stupisce: Apollo è anche divinità degli effluvi miasmatici e sulfurei provenienti dal sottosuolo – una delle caratteristiche proprio del monte Soratte e delle sue spelonche. Così come lo stesso Apollo è divinità eminentemente legata al Lupo e così raffigurata e tramandata sia in area greca che in area anatolica. Infine, per terminare le analogie tra Suri e Apollo che portarono a tale interpretatio, Apollo è una divinità delle mannerbunde, quelle società di uomini, come appunto i Lupi del Soratte, in guisa di persone votate al sacro che vivevano al di fuori della società, di rapina (“rapto”) sulla sommità del monte.

Ho apprezzato molto la visione “indoeuropea” che traspare in “Divinità Terrifiche” e “Ignee Sacertà Ctonie”, un interesse sincero per rituali e tradizioni arcaiche che, per certi versi, accomunavano tutta l’Europa (e parte dell’Asia), dalla penisola italica a quella scandinava. Era una sacralità europea “autoctona” precedente e radicalmente diversa da quella del mondo cristiano. Probabilmente, il lavoro di uno studioso come Georges Dumézil ha avuto una grade influenza per te e per i Comando Praetorio…

L’opera importantissima e fondamentale di Georges Dumézil, affiancata in generale da ogni fonte relativa al “dossier indoeuropeo”, rappresenta, seppure nei limiti della mia persona, un campo di studio e di interesse che ormai dura da oltre vent’anni. Tali indagini non possono che confluire, soprattutto nel campo della comparativistica, in una visione d’insieme degli elementi comuni assunti dalle varie culture indoeuropee in tutto il continente eurasiatico. Questo filone di studi abbraccia dalla linguistica alla mitologia, dalla spiritualità alla storia, informandoci delle raffinate visioni di queste tribù di sacerdoti, guerrieri e produttori, così ben inquadrate da Émile Benveniste:

Si tratta di piccoli gruppi di temerari, fortemente organizzati, che edificano il loro ordine sulle rovine di strutture preesistenti […]. Conserveranno tutti […] i tratti distintivi della loro comunità di origine: stile aristocratico, una società di sacerdoti, guerrieri e di agricoltori; sacrifici regali (il più significativo: quello del cavallo, l’aśvamedha vedico); istinto conquistatore e amore per gli spazi aperti.

A livello di contenuti e attitudine, oltre l’ambito strettamente musicale/stilistico, a quali artisti e band in campo black metal i Comando Praetorio si sentono più affini?

A livello attitudinale Comando Praetorio si sente in linea con quelle realtà maggiormente underground e intransigenti del black metal e del death metal, così come in generale di ogni forma di musica oltranzista e sotterranea, che rimane lontana dai riflettori e dall’eccesso di mediatizzazione social. Freddezza, coerenza, inumanità: principi presenti soltanto in pochissimi progetti; al tempo stesso principi agenti senza mediazioni anche nella musica che da essi promana. Autori come Branikald, Nitberg, Vargleide, Forest, Evilfeast, Blood Stronghold, Szron, Wschod, Clandestine Blaze, Numinous, Warloghe, Gnipahalan, Mystik, Daudadagr, Azelisassath, Hate Forest, Drudkh, Blood of Kingu, Supremacy, Triumpf Genus, Kult Ofenzivy, Tetragrammacide sono quelli che, almeno personalmente, mi sento di indicare senza riserve.

Oltre che negli attuali Comando Praetorio, tu sei stato attivo anche nel Movimento d’Avanguardia Ermetico e in precedenza nei Sarghnagel. Raccontaci qualcosa di queste esperienze. Sono entrambe concluse? In che misura quelle band si discostano dai Comando Praetorio? Quali, se ve ne sono, gli elementi di continuità?

Sarghnagel è stato un gruppo soprattutto attivo nel periodo 1999-2004. La demo “Munfrin Heindentum”, pubblicata nel 2000, resta tra le uscite di cui mi sento maggiormente soddisfatto. Fu un’epoca caratterizzata dall’atmosfera remota del nostro Monferrato, dove ancora si respirava appieno quell’ambiente di freddo autunno e inverno, di piogge, di nebbia, di vecchi borghi, castelli in rovina e leggende ormai quasi obliate: è l’ambiente forse tra i più consoni per un certo tipo di black metal.

All’epoca questo genere era ancora un fenomeno di nicchia: internet era un mezzo poco utilizzato e vigeva ancora la pratica del tape trading massivo. Già qualche anno dopo, il proliferare di forum di discussione, webzine ecc. aveva creato i primi fenomeni da baraccone, destinati poi al disastro più completo con i social network.

Moltissime delle idee inutilizzate in Sarghnagel hanno formato la base e il materiale per gli esordi di Movimento d’Avanguardia Ermetico, e in particolare per il primo album “Stelle senza Luce” che, fondamentalmente, porta a compimento le intuizioni di un decennio prima, pensate per Sarghnagel appunto.

M.D.A.E. è stato un progetto decisamente prolifico, con un decennio ricco di uscite, dal 2005 al 2015. Ora è con Comando Praetorio che sto insistendo maggiormente in quanto si tratta di una formazione con una spiccata dimensione underground ed estrema, ed è la forma in cui vorrei esprimermi maggiormente in questa epoca di sovraesposizione social.

Parlando del black metal in Italia, oggi come vedi la scena attuale? Credi che, pur nella sua marginalità sotterranea, possa costituire un argine ideale rispetto a una preoccupante deriva spirituale della società contemporanea?

Che questa forma musicale possa essere un argine alla degenerazione non ci sono dubbi, ma a certe condizioni. In primis la serietà. Il black metal è in se stesso un fenomeno antimoderno e per certi versi archeofuturista. Ma affinché realizzi pienamente le sue potenzialità si rende necessaria, oltre alla serietà di cui sopra, anche una caratterista propria a pochissimi: la coerenza. Chi è che oggi è in grado di coniugare serietà e coerenza con il messaggio insito nella propria musica?

Facile parlare di freddezza, elitismo e inumanità e poi condurre la vita di un qualsiasi uomo massa conformista, bieco e privo di capacità di approfondimento.

So che oltre al tuo impegno sul fronte musicale sei coinvolto anche nel progetto editoriale Polemos Forgia Editrice. Dicci qualcosa a riguardo, anche dei progetti futuri e dei libri in uscita.

Polemos nasce nell’agosto del 2014 quando, durante un soggiorno “tra gli orsi” del parco dello Yosemite, ricevetti dall’Italia, particolarità dell’archeofuturismo, uno scritto di Francesco Boco intitolato “Polemos”. All’epoca con Francesco, al quale mi lega un’amicizia ventennale nata proprio in ambito musicale estremo, pensavamo di costituire a partire da quel manifesto, una rassegna editoriale che facesse sì che il black metal e la cultura estrema in generale tornassero “a fare paura”. Così Polemos vede la luce come un “MicroMega dei cattivi”, dove ospitare saggi e interviste di carattere artistico e filosofico che nessun altro si sarebbe mai sognato di pubblicare. Ma non solo: sullo stendardo di Polemos campeggiano le tre C di Cultura, Culturismo e Clan. Queste devono essere rinsaldate in formazioni claniche autonome rispetto all’ordine costituito dal moralismo borghese e dal suo bisogno di sicurezze, di svago e di stordimento. A partire dalla fine del 2019 Polemos è poi diventata “Forgia Editoriale” dando alle stampe la prima traduzione italiana dal francese di “Loki” del prof. J. Haudry, un’opera significativa nel suo restituire questa divinità norrena del fuoco alla sua originaria appartenenza indoeuropea, strappandola dalle interpretazioni cristianeggianti e sataniche tanto in voga tra i movimenti pseudo-tradizionali contemporanei. La prossima offensiva vedrà la traduzione – per la prima volta nel nostro paese – di “Might Is Right” di Ragnar Redbeard: un feroce e a tratti infame pamphlet che pochi avrebbero il coraggio di stampare.

Oltre l’ambito del black metal segui altre scene musicali come il neofolk (Fire + Ice, Blood Axis, Ostara) o il ritual folk nordico (Wardruna, Heilung, Forndom ecc.)? Credi che da questi ambiti si possa generare un rinnovato interesse culturale per il paganesimo come, di fatto, è avvenuto negli anni Ottanta e Novanta anche grazie a un certo tipo di metal scandinavo (Bathory in primis, ma non solo) ?

Dei nomi che hai citato sono particolarmente legato a Blood Axis, che è stato il primo progetto neofolk che ho conosciuto, ormai oltre vent’anni fa e di cui mi sono subito invaghito. Sono invece molto meno legato al ritual folk nordico contemporaneo. Mi pare inoltre che nonostante il grande sfoggio di simbologia ed estetica non ci sia quasi alcuna reale comprensione del cosiddetto dossier indoeuropeo di cui si parlava poc’anzi. Questo mi pare un limite evidente all’approccio di tale ritual folk nordico contemporaneo. Questo non toglie che apprezzo molto le influenze pagan nel black metal, ma devono essere portate avanti con un’attitudine di tremenda serietà e disciplina. Basti pensare al percorso di decadenza che hanno toccato certi ottimi progetti polacchi degli anni 90 e che successivamente si sono svenduti nonostante l’altezza dei loro primi dischi e proclami.

Mettendo da parte l’ambito musicale, quali racconti, romanzi e film sono per te fonte d’ispirazione? Che cosa ha maggiormente nutrito l’immaginario del tuo lavoro artistico?

In questo campo rischierei di essere davvero prolisso e annoiare oltremodo i lettori. Oltre al campo dell’indoeuropeistica, già citato nelle precedenti domande, ho cercato di indagare le forme spirituali precristiane e le filosofie più aristocratiche, sotto molti punti di vista. Dall’inconscio collettivo di Jung e di Hillman – dai quali però mi sono ormai distaccato – alla filologia e filosofia di Nietzsche, Heidegger, Cioran e Caraco. Dalla rivoluzione conservatrice di Ernst Von Salomon, Ernst Jünger e Armin Mohler, sino a Giorgio Locchi, G. Faye e Alain de Benoist. Sul versante più propriamente letterario sono un appassionato lettore di Borges, Pessoa, Lovecraft – il mio primo grande amore nel campo della letteratura fantastica e Meyrink, grande interprete di tematiche esoteriche ricomposte in chiave letteraria.

In campo cinematografico ho provato ad adattare un racconto di Borges, in cortometraggio, anche se mi mancavano le capacità realizzative per raggiungere un autentico livello di decenza scenica. I registi di riferimento per il sottoscritto sono certamente Bergman, Lynch e Von Trier.

Pensi sia auspicabile coniugare un certo interesse verso la tradizione con i nuovi mezzi tecnologici? Magari per cercare di trovare una via per affrontare la crisi, non uno sterile passatismo nostalgico, ma un agire che si muova nel solco di una tecnica per mobilitare il mondo. Penso alle riflessioni fondamentali di Ernst Jünger a riguardo, ma non solo…

Certamente cogli nel segno citando Junger, ma a questo grande antesignano occorre affiancare G. Faye e il suo Archeofuturismo, con il suo invito a coniugare principi tradizionali e tecnoscienza futurista. Tornando a Junger credo che il suo ruolo sia stato quello di grande scultore di idealtipi che possono ispirare l’attitudine e l’esistenza degli uomini differenziati. Oltre al Krieger dei racconti di Guerra e al Waldganger del cosiddetto “Trattato del Ribelle”, traducibile invece come “Colui che si dà alla macchia”, vorrei citare due tipi jungeriani meno conosciuti eppure di grande importanza: l’Arbeiter e l’Anarca. Il primo utilizza la tecnica per mobilitare il mondo; è caratterizzato da una maschera metallica che lo spersonalizza ma al tempo stesso lo fa confluire in un’unità superiore non dissimile da quella degli Ordini monastici medioevali. L’Anarca, invece, si adatta molto bene alla nostra realtà quotidiana: vive in una satrapia postatomica in mezzo a una babele di individui di ogni provenienza ma privi di un destino storico; il tiranno che egli serve come barista è un omosessuale. Ma Manuel Venator, il protagonista alter ego di Jünger, è un anarca: sfrutta il suo lavoro di barista per avvicinarsi al potere e poterlo sfruttare a proprio vantaggio nella sua pratica di storico. Le vicende di tale Anarca sono narrate in “Eumeswil”, romanzo distopico che anticipa Wikipedia, i telefoni cellulari e molte delle caratteristiche della nostra contemporaneità.