Dødheimsgard – Black Medium Current

Come un gigantesco buco nero da cui la luce non riesce più a fuggire, Black Medium Current è un corpo celeste che con il suo campo di forza tutto cattura, una singolarità frutto di un collasso gravitazionale. Il nuovo album della band norvegese Dødheimsgard (o semplicemente DHG) sembra un relitto interstellare proveniente dal futuro più remoto. Al contempo, è sia un monito alla finitezza umana, sia uno sguardo, un ponte, gettato verso l’oltre-umano, verso le stelle più remote ed oltre.

Qui la materia Black Metal viene fatta letteralmente implodere su se stessa. Il tutto viene poi ricostruito con robusti innesti di Prog, psichedelica e scorie elettroniche Industrial come quelle che abitavano in uno dei capolavori della band, quel 666 International uscito nel lontano 1999. Proprio quell’album aveva riconfigurato i confini del Black Industrial in un connubio ardito, estremo quanto sperimentale. Anche il nuovo Black Medium Current non è da meno, pur se in forme e toni molto diversi. L’ultima fatica dei DHG risulta, infatti, molto più malinconica e con tratti decisamente più sfumati e stratificati. È una sorta di nave spaziale alla ricerca di un’oscurità celestiale.

La band di Vicotnik ha la particolarità di far passare circa otto anni da un’album all’altro (dall’uscita di 666 International in poi). Rispetto al precedente e altrettanto valido A Umbra Omega, possiamo notare come i DHG abbiano continuato nel loro percorso con coerenza. La band di Oslo è riuscita a forgiare uno stile unico che muta ad ogni uscita ma mantenendo sempre delle salde radici rizomatiche con il vero Black Metal norvegese, con quel Kronet Til Konge pubblicato nel 1995 ed oggi considerato – a ragione – una pietra miliare del genere.


Pur muovendosi oggi in un Avant Black Metal alla Arcturus che fa dello scontro tra determinismo e libero arbitrio il suo motore conduttore, rimangono tracce sparse di metallo nero che, come frammenti acuminati, emergono durante la navigazione interstellare.
Si ascolti l’iniziale “Et Smelter” dove ad un lento inizio atmosferico si sovrappone un blast-beat veloce e selvaggio che riemerge anche nella successiva “Tankespinnerens Smerte”. Nel frattempo, sullo fondo s’odono le urla disperate di un Vicotnik più inquietante e imprevedibile che mai.

Brani come “Interstellar Nexus” mostrano lo sfaccettato prisma di una lunga composizione che alterna melodie spaziali cantate in chiaro a cataclismi suborbitali dove tutto precipita in una furia devastante, tra urla gutturali e dissonanze elettrificate.

Non mancano nell’album anche vette leggiadre di malinconia come nell’affascinante “Halow” in cui i Nostri con un brano mid-tempo cavalcano lidi vicini alle atmosfere dei Ved Buens Ende.
“Det Tomme Kalde Mørke”, invece stempera l’oscurità del sound norvegese in destrutturanti derive cosmiche. Tutto questo, apre la strada per il grande tour de force di “Abyss Perihelion Transit”. Si tratta di lunga traccia cangiante e postumana per cui è stato realizzato anche un suggestivo video animato d’accompagnamento.

“Requiem Aeternum” conclude il viaggio interstellare nei meandri della psiche con un ambient corale, tra sussurri, voci fantasmatiche dall’oltretomba e suoni di pianoforte che sembrano perdersi nel vuoto tra le stelle.
Per concludere, non solo siamo di fronte all’ennesimo capolavoro targato DGH, qui Vicotnik e soci si sono proprio superati con una gemma nera capace di mostrare miglia di sfumature cangianti che risplendono in un altrove inesplorato. I DHG continuano il loro viaggio solitario verso lo spazio siderale più oscuro e ignoto, sospinti solo da una nera corrente.

Tracklist:

  1. Et Smelter
  2. Tankespinnerens Smerte
  3. Interstellar Nexus
  4. It Does Not Follow
  5. Voyager
  6. Halow
  7. Det Tomme Kalde Mørke
  8. Abyss Perihelion Transit
  9. Requiem Aeternum