“Nemo propheta in patria”: la famosa locuzione latina ben si adatta alla storia di un gruppo di culto come i romani Ain Soph. Sospesi tra realtà e leggenda, i Nostri hanno avuto un’importanza fondamentale per la musica post-industrial internazionale. Nati nel 1984, gli Ain Soph iniziarono a comporre colonne sonore per rituali magici e, inseguito, ad elaborare una via mediterranea al Neofolk.
Il disco spartiacque fu “Aurora” (1992), capolavoro ispirato dagli scritti di Julius Evola e dalla lettura de “I proscritti” di Ernst von Salomon. A quel lavoro seminale, incensato da artisti come Blood Axis e Der Blutharsch e fondamentale per la nascita di band italiane come L’Amara, fecero seguito visioni prog-psichedeliche. Infatti, nel 2002 viene pubblicato “October”, album dedicato agli orrori del comunismo visti con gli occhi russi di un reduce dissidente.
Gli Ain Soph sono poi riemersi nel 2018 con un disco ispirato a un libro di Fulcanelli, ”Finis Gloriæ Mundi”. Sembra che a distanza di anni la passione esoterico-tradizionalista dei romani non si sia esaurita.
“Live at Piper” vede oggi la luce per SPQR in un cd digipack limitato a 616 copie. Siamo di fronte ad un documento unico registrato in origine nel 1986 in occasione dell’esibizione degli Ain Soph al Piper Club di Roma. La formazione dell’epoca era: Crucifige (voce, synth), Emma (voce, cori), HannaH (voce, cori), Foraenovis (voce, tastiere, cori), THX (tastiere, percussioni, cori) e ClauDEDI (synth, percussioni, cori). Ad essere protagoniste sono anche le voci sgomente di un pubblico che si trovava, probabilmente per la prima volta davanti a sonorità industrial, anzi per la precisione “proto” ritual industrial. Basti pensare che all’epoca erano in pochissimi a fare certe cose anche in Inghilterra (Current 93, Death In June, Freya Aswynn, ecc) e negli Stati Uniti (NON/Boyd Rice).
Il live uscì in cinquanta copie per Misty Circles col il titolo di “Live At Piper Club Roma 12/01/86”. Ora i nastri originali sono stati rimasterizzati con delle note aggiuntive da parte della band. La performance non prevedeva musica rock ma una lunga session rituale di “non-musica” ispirata principalmente ad Aleister Crowley. Siamo di fronte ad un lungo incedere di tamburi e sintetizzatori su cui recitare mantra e cori medievaleggianti. Visti i tempi e il luogo, è un miracolo che non li abbiano linciati ma solo fischiati e contestati rumorosamente.
Del resto, anche le prime performance dei Throbbing Gristle rischiarono di finire in rissa. Suonare una certa musica nel tempio del Beat, di quella cultura rock angloamericana sempre assimilata con tanta solerzia dagli italiani, era un atto rivoluzionario. Dal dissacrare al riconsacrare: in fondo, potremmo definirlo un esperimento sonoro alchemico. Dal vile metallo, all’oro in un tentativo di elevarsi dalla banalità dell’edonismo rock mente la gente in sottofondo gridava: “basta!” (e altri insulti). Altri, in pochi ovviamente, avrebbero applaudito e apprezzato. Certi rituali non sono per tutti. Siete avvisati, ascoltate con consapevolezza.