Grand Belial’s Key – Kohanic Charmers

Un nome imprescindibile del black metal statunitense è sicuramente quello dei Grand Belial’s Key. La formazione è all’attivo sin dai primi anni Novanta. La loro proposta è caratterizzata da uno stile feroce e caustico, allo stesso tempo ricco di riff accattivanti e soluzioni melodiche supportate da ritornelli e tastiere ben dosate. Questi elementi di matrice Rock, Heavy Metal, Death e Punk derivano dalle varie esperienze dei musicisti coinvolti in una formazione mai del tutto stabile; in particolare i famigerati Arghoslent, maestri del “Death Metal suprematista”, hanno non pochi punti in comune con il progetto, seppur qui inseriti in un contesto prettamente black. Il fatto è dovuto alla presenza del chitarrista Gelal, mente dietro ai riff portanti di entrambe le band.

Un’altra caratteristica tipica della band è la feroce critica/satira verso la religione giudaico-cristiana, oltre alla sua iconografia, espressa tramite testi irriverenti e volutamente offensivi. Famose, infatti, le loro grafiche che rielaborano in chiave blasfema le illustrazioni delle riviste a stampo religioso. Questo di per sé non renderebbe la band più controversa di altre in un genere da sempre votato all’attacco verso il cristianesimo e i suoi valori. Se, però, aggiungiamo la militanza dei membri in varie formazioni politicizzate, l’uso di un certo immaginario in sede di concerto e l’aperta approvazione di ideologie estreme durante le interviste, non è difficile immaginare perché il gruppo sia diventato il bersaglio di coloro che vorrebbero un black metal depurato da tutti questi elementi. Ad oggi, i Grand Belial’s Key rimangono un nome controverso, evitato dalla stampa mainstream nonostante gli innegabili meriti musicali.

In ogni caso, la band prosegue con la sua carriera supportando con i fatti la sua fama presso l’underground. Nel corso degli anni hanno creato dischi leggendari quali “Mocking the Philanthropist” e “Judeobeast Assassination“. Sono album importanti che cementano l’ensemble come una delle realtà più solide del genere. Almeno questo fino al 2006. Dopo l’album “Kosherat” e la morte del cantante Grimnir Wotansvolk, i Grand Belial’s Key decidono di sciogliersi, seppur pubblicando alcune tracce postume sullo split del 2008 con Absurd e Sigrblot, “Weltenfeind”.

Non si tratta però della fine della storia: nel 2009 la band torna in attività. Verranno negli anni scritte tracce finalizzate nel 2016 in forma strumentale e incompleta, almeno fino ad oggi.

Finalmente, vede ora luce il nuovo album “Kohanic Charmers” completato dalla voce di Unhold e con i vecchi membri Gelal e Demonic supportati dal “batterista” Ulfhedinn. In realtà la parte ritmica è gestita tramite una drum machine programmata.

Per la prima volta il disco non vede testi pubblici. La scelta è stata criticata da alcuni puristi underground, ma era inevitabile data la stampa dell’album avvenuta in Germania, paese dove qualsiasi attacco verso i vari aspetti della cultura ebraica può comportare pesanti conseguenze penali.

Veniamo finalmente alla musica dell’opera: la band riprende le fila del discorso ripresentando un suono vicino ai primi due dischi, ma con una produzione più moderna e una ritmica inevitabilmente più meccanica. Inoltre, le vocals del nuovo cantante, pur rispettando la tradizione della band, hanno un’ impronta più fredda ed europea, perdendo parte del veleno derisorio del passato. Ritroviamo in ogni caso i passaggi “desertici” tipici della band dal sapore, ironicamente e volutamente, mediorientale. Ad essi si aggiunge il gusto per strutture mutuate dal metal classico con tanto di assoli e l’inserzione di arpeggi e melodie, seppur in un songwriting più diretto.

Non manca l’uso di intermezzi strumentali anch’essi cari al gruppo. L’ultima traccia “Turbans Nailed To Their Heads” è una nuova versione di “Sleeping Princess Of The Arges”, traccia che compariva nel demo “Triumph Of The Hordes”. “Prayer Shawl Of The First Born Donkey” ci accoglie con una cascata di colpi in doppia cassa, prima di aprirsi a riff dalle fredde trame. Il tutto è condito da vocals sature di riverbero.

L’atmosfera ossessiva si concede scale altisonanti, ripresentando una serie di elementi cari alla band e ai suoi fan. La successiva “Serpent Bibliomancy” è un tempo medio dai galoppi ritmati e dai riff rocciosi, pronto a lanciarsi nel finale in un climax caotico. “Crud Drips From The Shofar” invece è una sfuriata black dai connotati heavy. La traccia è graziata nella seconda metà da una parentesi di arpeggi acustici che mostrano la voglia invariata di sperimentare soluzioni atipiche, anche se in maniera più contenuta rispetto al passato.

Probabilmente, il momento più interessante è dato da “The Door Is Marked With Sheep’s Blood”, traccia che nel suo ritornello ricorda non poco “Shemhamforash”. Il brano è tratto dal primo album della band, in una sorta di autocitazione. Troviamo quindi quei suoni di chitarra basati su scale armoniche che tanto hanno fatto la fortuna della band, cosi come passaggi severi dal gusto death. Il resto del disco si muove su queste coordinate, salvo la liquida strumentale “Adrift in the Viscera of She’ol” dalle atmosfere barocche. La traccia fa da intro alle sfuriate finali della già citata “Turbans Nailed To Their Heads”, cavalcata black che si conclude con una serie di assoli ben posizionati.

In definitiva “Kohanic Charmers” è il terzo miglior lavoro della band americana. L’album soffre solo di una ritmica necessariamente meno dinamica e organica rispetto al passato. Il lavoro manifesta anche una natura leggermente meno avventurosa. In ogni caso, appresenta un’opera più riuscita rispetto al precedente “Kosherat”, buon disco ma fin troppo lineare per le capacità dei Nostri. Kohanic Charmers è in grado di ricatturare in parte la magia dei primi dischi senza usurparne il posto.

Probabilmente l’attesa di ben diciassette anni ha creato un’ aspettativa che difficilmente la realtà poteva raggiungere. Il disco nei suoi molti pregi e pochi difetti si conferma comunque come l’ennesima grande uscita in un’annata particolarmente ispirata per il metallo nero. Ora non resta che attendere il ritorno degli Arghoslent, anch’esso annunciato da tempo.

Tracklist:

  1. Prayer Shawl Of The First Born Donkey
  2. Serpent Bibliomancy
  3. Crud Drips From The Shofar
  4. The Door Is Marked With Sheep’s Blood
  5. Fiscus Judaicus
  6. Two Forks And A Muttering Diviner
  7. Adrift In The Viscera Of She’ol
  8. Turbans Nailed To Their Heads